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La legge è uguale per tutti, forse.

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Secondo l’articolo 3 della Costituzione italiana: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Questo sta alla base della famosa frase che troviamo incisa in ogni aula di tribunale che recita “La legge è uguale per tutti“. Ma molti eventi passati e presenti a volte ci hanno fatto domandare, è davvero così?

Premettiamo che il nostro blog non è interessato ne desidera fare satira di alcun tipo, questo articolo vuole riportare solo un pensiero che molti italiani hanno, e cioè quanto veramente siamo eguali davanti alla legge? Conosciamo tutti i casi di corruzione politica sia degli ultimi tempi con Mafia Capitale ma anche degli anni 90 con Tangentopoli e Mani pulite.

Purtroppo quello che traspare da molti processi che lo Stato ha indetto contro uomini potenti, magari facenti parte dell’amministrazione governativa dello Stato stesso, è che questi ultimi riescano sempre, in un modo o nell’ altro a trovare una scappatoia facendola in barba proprio a quella legge che professa l’uguaglianza come principio fondamentale.

Dunque perchè spesso e volentieri un cittadino comune sorpreso a rubare per fame, si trova a scontare pene ben più rigide rispetto a persone corrotte che hanno derubato il paese per anni e fanno la vita da sultani anche in carcere, quelle rare volte che ci finiscono? La verità è che il potere dei soldi sovrasta quello dell’ideale espresso dalla legge che vorrebbe tutti uguali.

Non possiamo essere uguali perchè non tutti possono permettersi un Ghedini o un Erede, o di sperperare fortune per la nostra difesa. Quindi la legge dovrebbe capire che c’è bisogno di tenere conto anche di queste cose quando si giudica qualcuno. Ma si tratta naturalmente di un’ utopica speranza di un cittadino comune come tanti.

L’ eguaglianza è ben lungi dall’essere rispettata, e di questo gli italiani ormai sono stanchi.

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La differenza fra denuncia e querela

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I rapporti sociali fra individui non sono sempre sereni e pacati, e si sente quindi spesso parlare di denuncia e querela; ma questi due termini a volte vengono usati erroneamente per mancanza di conoscenza da parte di chi li adotta o se ne confonde il significato. In questo breve articolo cercheremo di spiegare al meglio le differenze fra i due illustrando cosa indicano e quando è più corretto adottare l’ uno rispetto all’altro.

 

La denuncia

La denuncia da parte dei privati è l’atto con il quale ogni persona porta a conoscenza dell’autorità (pubblico ministero o ufficiale di polizia giudiziaria) un reato perseguibile d’ufficio del quale ha notizia.

Nella generalità dei casi la denuncia è facoltativa ed è obbligatoria nei casi espressamente previsti dalla legge.

La denuncia può essere presentata in forma orale o scritta. Nel primo caso l’ufficiale di polizia giudiziaria, o il pubblico ministero, redige verbale, mentre nel secondo l’atto dovrà essere sottoscritto dal denunciante o da un suo procuratore legale. Per la denuncia da parte dei privati non è previsto un contenuto formale tipico e il denunciante può limitarsi alla semplice esposizione del fatto.

 

La querela

La querela è la dichiarazione con la quale, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, la persona offesa dal reato o il suo legale rappresentante chiede espressamente che si proceda in ordine ad un fatto previsto dalla legge come reato (ossia fa richiesta di punizione) per il quale non si debba procedere d’ufficio o dietro richiesta o istanza.

La querela va fatta, oralmente o per iscritto, al pubblico ministero, a un ufficiale di polizia giudiziaria o, all’estero, a un agente consolare, e presentata personalmente o a mezzo di procuratore speciale, ma, con sottoscrizione autentica, può essere anche recapitata da un incaricato o spedita per posta in piego raccomandato.

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I doveri inderogabili, cosa sono?

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Nella Costituzione italiana e nello specifico nell’articolo 2 si parla di doveri inderogabili, che il cittadino ha nei confronti dello Stato e verso la propria comunità, tali doveri sono pensati proprio per aiutare l’ individuo ad uscire dal pensiero di singolo abbracciando quindi la propria comunità di appartenenza, cercando di migliorarne lo stato come meglio può.

L’articolo 2 della Costituzione recita così: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

Ma quali sono quindi questi doveri inderogabili a cui lo Stato chiede di adempiere?

  1. a) il dovere del lavoro, nel senso di «svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» cost 4;
  2. b) il dovere di difendere la patria e di prestare il servizio militare obbligatorio cost 52 (il legislatore, tuttavia, ha riconosciuto L 695 24/12/1974 il principio dell’obiezione di coscienza come espressione della libera esplicazione della propria personalità, consentendo agli obiettori di prestare un servizio sostitutivo civile);
  3. c) il dovere di prestazioni patrimoniali (imposte) per concorrere alle spese pubbliche, in proporzione alla propria capacità contributiva cost 53. Per quanto concerne gli stranieri, l’obbligo di contribuire alle spese pubbliche è riferito a coloro che vivono o hanno un reddito prodotto in Italia;
  4. d) il dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi cost 54; a quest’ultimo dovere sono tenuti anche gli stranieri e gli apolidi presenti nel territorio dello Stato.

Tutti questi principi fondamentali determinano una base solida per essere un buon cittadino, garantendo una convivenza ed una condivisione ottimale delle risorse che lo Stato mette a disposizione.

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La truffa nella legislazione italiana

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Una delle piaghe più comuni sul territorio italiano è la truffa. Espediente che può essere effettuato con diverse modalità e mezzi ai danni di soggetti inesperti o “deboli” ai fini di ottenere un vantaggio, spesso economico, personale per il truffatore. Come regola dunque la truffa la giurisprudenza italiana e cosa si può fare per prevenirla e non caderne vittima?

La truffa viene considerata un reato ed è regolata dall’articolo 640 del codice penale. Esso afferma che chiunque induca in errore una persona attraverso raggiri ed artifici, costringendola ad effettuare atti di disposizione patrimoniale che la danneggino e favoriscano il truffatore o altri soggetti, sarà punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro. Nel caso in cui il reato sia:

  • commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
  • commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità

la pena prevista La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro.

Alcune delle truffe più comuni si rivolgono al singolo individuo o a una famiglia, e solitamente consistono in una prima raccolta di dati anagrafici ed informazioni senza il consenso della vittima che poi il truffatore utilizzerà per scegliere la truffa più congeniale, per passare in fine all’attuazione della suddetta, solitamente fingendosi un funzionario statale o di varie compagnie energetiche, fissando appuntamenti quando la vittima è sola in casa.

Difendersi da queste truffe non è sempre facile sopratutto quando le vittime designate sono persone anziane o inesperte dell’argomento in questione. Il cittadino deve quindi essere educato ad essere previdente, non deve in alcun modo fornire dati sensibili ad estranei, sopratutto in rete, e qualora dovesse subire un danno, deve essere celere nella denuncia. In alcuni casi, a seconda della gravità della truffa è possibile saltare direttamente la denuncia e far intervenire direttamente le autorità.

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Il prestito e le sue caratteristiche

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La legge definisce il prestito come la cessione di una determinata quantità di denaro col vincolo della restituzione di capitale di pari valore o superiore. Detto in parole povere, chi riceve un prestito da un investitore, di solito la banca, è poi tenuto per legge a restituire suddetto valore nelle tempistiche e con gli interessi definiti al momento della creazione del contratto.

Come sappiamo ottenere dei prestiti, sopratutto dalle banche, non è affatto facile e richiede di fornire ai suddetti organi finanziari  prove concrete di garanzia. Di seguito proveremo ad analizzare nel dettaglio gli step fondamentali per ottenere un prestito e i parametri da tenere in considerazione al momento della stipulazione del contratto.

Quando si richiede un prestito a una banca prima di tutto è necessario definire il capitale che verrà finanziato, cioè la quantità di denaro che il richiedente desidera ottenere. Dovranno essere definiti anche il tasso annuo nominale (TAN) e il tasso annuo effettivo globale (TAEG) che sono i tassi d’interesse ed il costo della documentazione per quanto riguarda il prestito.  Altri parametri importante sono l’importo, le rate ed eventuali condizioni del prestito ma sopratutto la durata del finanziamento.

La banca farà quindi le proprie indagini per verificare la presenza di garanzie su cui rivalersi in caso di inadempienza da parte del beneficiario del prestito e solo dopo averle valutate approfonditamente deciderà se concedere o meno al richiedente il finanziamento.

Il prestito inoltre può essere finalizzato e non finalizzato. La caratteristica principale che distingue i due tipi di prestito-sovvenzione è basata sul metodo di erogazione e conseguentemente alla restituzione del denaro stesso: nel caso dei prestiti finalizzati, il cliente è obbligato all’acquisto di un bene di consumo specificando comunque la finalità del prestito e mettendo necessariamente a conoscenza l’istituto finanziatore; mentre nel caso di prestiti non finalizzati il cliente non ha alcun vincolo di destinazione ed è libero di disporre della somma richiesta in prestito con maggiore libertà d’azione.

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Ottenere il mutuo per la prima casa, come fare?

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In un paese sempre più in crisi come l’ Italia non è sempre facile per le nuove coppie costruirsi un futuro e l’acquisto della prima casa è forse una delle prove più ostiche che i nuovi coniugi possono trovarsi ad affrontare. Per facilitare le cose esistono quelli che vengono definiti mutui per la prima casa, ovvero un particolare tipo di finanziamento che le banche possono concedere a quelle famiglie che vogliono acquistare il loro primo immobile.

La procedura per ottenere il mutuo non è complessa in realtà, tutte le banche hanno infatti piani mutuari di questo genere che si rivolgono alle nuove famiglie. Quindi una volta scelta la casa da comprare e la banca con le tariffe più indicate per le proprie esigenze, la coppia dovrà preoccuparsi solo della parte burocratica fornendo i documenti richiesti per la stipulazione del contratto.

Nello specifico a seconda dei casi saranno necessari differenti documenti:

Infatti un lavoratore dipendente dovrà fornire:

  • dichiarazione del datore di lavoro sulla propria anzianità di servizio;
  • ultima busta paga e copia dell’ultimo modello CUD (o del modello 730);

Invece il lavoratore autonomo o libero professionista dovrà fornire:

  • copie del modello Unico Pf;
  • estratto della Camera di Commercio Industria e Artigianato nel caso di lavoratore autonomo e attestato di iscrizione all’Albo professionale nel caso di libero professionista;

Oltre ai suddetti documenti saranno richiesti anche il certificato di nascita, il certificato di matrimonio ed altri che la banca vi elencherà nella loro completezza.

Infine c’è la stipulazione dell’atto pubblico fra banca e acquirente che deve avvenire di fronte ad un notaio, il quale si occuperà di certificare l’atto ed il prestito avrà luogo, permettendo ai coniugi di acquistare il loro primo immobile.

Una cosa interessante da non sottovalutare sono le agevolazioni fiscali previste dalla legge sulla prima casa, quando si sceglie l’immobile da acquistare è quindi fondamentale tenere presente le caratteristiche che deve avere per essere riconosciuto come “prima casa”, così da poter godere degli sconti previsti.

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La corte di cassazione in Italia

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Durante le notizie sui processi in corso, si sente spesso parlare di corte suprema di cassazione o più semplicemente di corte di cassazione. Cosa fa dunque questo organo giuridico? Nell’articolo seguente proveremo a rispondere in maniera semplice a questa e ad altre piccole curiosità su questo importante aspetto della giurisprudenza italiana e non solo.

Il concetto di corte di cassazione nasce in Francia nel 1578 e da allora la sua funzione non è cambiata più di tanto. In un sistema legale che adotta questo organo, come in Italia ad esempio in cui prende il nome di corte suprema di cassazione, la corte di cassazione ha il compito di garantire che durante sentenze precedenti i giudici abbiano applicato la legge nel modo corretto.

Quando sentiamo parlare di “ricorso in cassazione” si intende quindi che una delle parti interessate in un processo, non soddisfatta della sentenza del giudice, sceglie di chiedere una verifica sulla legittimità di suddetta sentenza e la corte di cassazione interviene per compiere la verifica essendo super partes.

Nel caso riscontri una errata applicazione della legge e del diritto da parte del giudice durante la sentenza, la cassazione avrà il compito di annullarla, affidando così la sentenza ad un giudice più competente che avrà l’obbligo di attenersi al punto di diritto indicato.

Insomma abbiamo compreso che la corte suprema di cassazione in Italia ha un ruolo di garante, che ha il compito di tutelare coloro che per un’ applicazione erronea del diritto, si vedono privati di un giusto giudizio.

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Il diritto al lavoro in Italia

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Per inaugurare questo nuovo blog il tema del “diritto al lavoro” mi sembra il più indicato visto il pesante periodo di crisi che il nostro paese sta passando. Un diritto che purtroppo sta venendo meno e che ha già mietuto molte vittime sia a livello finanziario che umano. Dunque cos’è il diritto al lavoro in Italia e come viene regolamentato?

il primo articolo della costituzione Italiana afferma che: “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro” , questo passaggio, probabilmente il più importante della nostra costituzione, identifica il lavoro come base portante dell’intero paese. Il mezzo attraverso il quale si permette ad un individuo di essere una persona, capace di evolversi e di costruire il proprio futuro. Il lavoro in parole povere, permette di vivere.

Viene indicato come uno dei diritti fondamentali dell’uomo perchè con esso è possibile costruirsi una famiglia, una casa, essere qualcuno. Non si tratta quindi solo di portare a casa la pagnotta, ma di un’ affermazione personale e di un senso di realizzazione che sono fondamentali nella vita di ogni essere umano.

Il lavoro in Italia è regolamentato dallo Statuto dei lavoratori una legge redatta il 20 maggio 1970 la quale racchiude in sè buona parte delle norme che regolano i rapporti lavorativi fra dipendenti e datori di lavoro, i diritti e i doveri dei lavoratori, le rappresentanze sindacali e molto altro.

Fu indubbiamente una grossa rivoluzione che riconobbe ai lavoratori un ruolo fondamentale nell’ingranaggio della società concedendo loro i giusti meriti e relativi diritti. Diritti che purtroppo ad oggi non sembrano più essere tenuti in considerazione. Ci troviamo davanti ad una crisi come non se ne vedevano da tempo, aziende incapaci di produrre per le troppe tasse e i costi elevati di produzione, costrette a tagliare sul personale o a chiudere direttamente i battenti, e chi ne paga le conseguenze alla fine siamo tutti noi.

Finchè non cambierà la politica e il governo si deciderà a prendersi cura dei cittadini, la ripresa economica è ben lungi dall’essere imminente.

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Come si esegue una cessione di azienda

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Visto il lungo periodo di crisi che l’Italia e molti altri paesi europei hanno dovuto e continuano ad affrontare tuttora, è diventata di uso comune una pratica definita come cessione di azienda. Nel seguente articolo proveremo a spiegare in maniera semplice di cosa si tratta e perchè un imprenditore sceglie questa opzione invece di chiudere direttamente i battenti, quali vantaggi e oneri questa scelta porta e perchè potrebbe essere un bene per la ripresa economica.

 

In cosa consiste?

La cessione di azienda è quella procedura che permette ad un imprenditore di vendere l’attività e tutti i beni ad essa correlati, ad un nuovo acquirente che assumerà di conseguenza il ruolo gestionale e tutti gli onori e gli oneri  ad esso collegati. Al contrario dell’ affitto di azienda quindi si avrà una vendita totale di tutto ciò che riguarda l’azienda e questa passerà completamente nelle mani del nuovo proprietario (che può essere un singolo o un altra azienda costituita da più soci).

 

Quali son i vantaggi?

I reali vantaggi di questa procedura sono svariati. Immaginate un’ azienda che rischia la chiusura, si troverebbe costretta a lasciare senza lavoro tutti i dipendenti che vi lavorano dentro causando un enorme disagio alle famiglie che dipendono da essa. La cessione di azienda permette di mantenere inalterati i posti di lavoro e di rinnovare la produttività dell’impresa grazie agli investimenti dei nuovi proprietari.

Un altro punto a favore della cessione è il fatto che l’azienda rimarrà in Italia, continuerà quindi ad investire nelle risorse del nostro paese aiutandolo ad uscire da una crisi che pare senza sbocchi.  Un aspetto davvero molto importante da tenere a mente se si vuole rilanciare l’economia ed aiutare i cittadini.

 

La procedura.

Come per l’affitto, la cessione d’azienda richiede per legge la presenza di un notaio il quale oltre a supervisionare sulla corretta redazione del contratto, dovrà anche preoccuparsi di registrare  la cessione nel Registro delle Imprese. Dovrà altresì evidenziare tutti gli elementi essenziali richiesti dalla legge per la validità del contratto (come ad esempio la menzione dell’oggetto, del corrispettivo, le eventuali menzioni urbanistiche in presenza di immobili aziendali ecc.); procedere alla puntuale descrizione dei beni e diritti oggetto dell’azienda trasferita; aiutare le Parti ad elaborare ed inserire in atto le clausole e le previsioni più adatte al caso concreto.

Quello che invece non rientra nei compiti del notaio ma ricade sulle spalle dell’ acquirente è il rinnovamento dell’ iscrizione al registro delle imprese e la verifica dell’effettiva titolarità dei permessi e delle licenze che andrà ad acquistare insieme all’ impresa (passaggio fondamentale se non si vuole incappare in brutte sorprese in futuro rischiando di perdere tutto).

 

A chi rivolgersi?

Esistono moltissimi bravi notai sul territorio italiano che offrono questo tipo di consulenze sia dal vivo che online, ma oggi vogliamo consigliarvi quelli dello studio Genghini ed associati, uno dei più famosi studi legali del paese che, grazie ai suoi soci specializzati in differenti branche della legge, garantisce una copertura completa di ogni panorama legale che il cliente si troverà ad affrontare.

Grazie al sito internet che abbiamo riportato al link precedente, potrete scoprire direttamente per via telematica ed in tempo reale, quanto una consulenza vi verrà a costare. Naturalmente potrete contattare lo studio Genghini anche coi metodi tradizionali, nelle sedi di Milano, Cinisello Balsamo, Roma o Cerignola, troverete professionisti sempre pronti ad ascoltare e ad aiutarvi coi vostri problemi legali.

Scopri tutta la professionalità di Genghini ed Associati, affida loro la cessione della tua azienda e sarai certo di operare nella maniera più conveniente e sopratutto nel pieno rispetto delle norme in vigore.